29 ottobre 2010

La lettera B


brutto
bellimbusto
bottegaio
bulimico
bavoso
brevilineo
bilioso
bacucco
bagolone
bombolo
borioso
bidone
bullo
bolso
buffone
bluffatore
burocrate
becero
bovino
babbeo
bancarottiere
bronchitico
bucataio
baccalà
bigotto
bucaniere
bestemmione
ballista
bigamo
barbuglione
balogio
bollito
buggerone
baluba
bisbetico
bamboccio
biescio
borsaiolo
bisunto
bandito
borbottone
barbaro
botolo
bombardone
brancicone
barracuda
barzellettesco
brinato
bioscio
bassotto
battifiacca
beccamorto
belatore
buzzurro
baro
budellone
barullo
bercione
bescio
burbanzoso
biascicone
biasimevole
brachicefalo
bidonista
bieco
busbacco
bolloso
bietolone
bifolco
brullo
bozzettistico
briccone
balilla
bighellone
brasato
barboso
bircio
biscazziere
bistorto
barattiere
bituminoso
bivalve
buttafuori
bizzoso
black bloc
blasfemo
belluino
blastico
balordo
bleso
boccalone
bocciforme
buio
borbonico
bacarozzo
bordelliere
barcollone
borsista
butterato
bacchettone
bottinaio
bozzoloso
bracconiere
bifido
bramoso
blaterone
bacato
bravaccio
bretto
burino
bellettoso
biforme
brindellone
basista
broccoloso
bisboccione
banderuola
brufoloso
beone
blenorragico
bamberottolo
bubbonico
brigoso
barbagianni
bucefalo
brodoloso
bufalaio
bugiardo
bicorne
bulboso
banale
balbettone
burroso
burattinaio
burattino
babbione
bypassato

bondi
bossi
berlusconi

basta.

TESTI HIP E HOP


La saggezza della mia lezione sta tutta nella verità, nella libertà, nella sostanza; disdegnando di assumere nel numero dei suoi veri doveri queste piccole regole fittizie, usuali, provinciali. Saggezza tutta naturale, costante, universale, di cui sono figlie, ma bastarde, l’urbanità, le convenienze. Ci libereremo dei difetti dell’apparenza, quando ci saremo liberati da quelli della sostanza.
(...)
La nostra vita è parte nella follia, parte nella saggezza. Chi ne scrive solo con rispetto e moderazione, ne lascia indietro più della metà. Non mi scuso davanti a me stesso. E se lo facessi, mi scuserei delle mie scuse piuttosto che di qualsiasi altra cosa. Mi scuso presso persone d’una certa opinione, che ritengo più numerose di quelle che sono dalla mia parte.
(...)
A me piace la modestia. E non è per ragionamento che ho scelto questo modo di parlare scandaloso. E’ la natura che l’ha scelto per me. Io non l’approvo, non più di qualsiasi forma contraria all’usanza stabilita. Ma lo giustifico e ne mitigo la condanna per considerazioni particolari e generali.

(Montaigne, Saggi, Libro III - Capitolo V, pagg. 1181-1183)

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Bisogna imparare a sopportare quello che non si può evitare. La nostra vita è composta, come l’armonia del mondo, di cose contrarie, e anche di toni diversi, dolci e aspri, acuti e bassi, molli e gravi. Il musicista che amasse solo i primi, che cosa vorrebbe dire? Bisogna che sappia servirsene nel complesso e mescolarli. E così noi, i beni e i mali, che sono consustanziali alla nostra vita. Il nostro essere non può sussistere senza questa mescolanza, e una parte non vi è meno necessaria dell’altra.
(...)
Ora, io tratto la mia immaginazione più dolcemente che posso, e la libererei, se potessi, da ogni pena e contrarietà. Bisogna soccorrerla e lusingarla, e ingannarla se si può. Il mio spirito è adatto a questo scopo. Non gli mancano argomenti plausibili in ogni caso. Se sapesse persuadere come sa predicare, mi darebbe un grande aiuto.

(Montaigne, Saggi, Libro III - Capitolo XIII, pagg. 1459-1460)

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Solo, davanti al mio martini dry, dubito fortemente dei vantaggi del denaro e della cultura.

Ho trascorso ore deliziose nei bar. Il bar è per me un luogo di meditazione e raccoglimento, senza il quale la vita è inconcepibile.
Come san Simone stilita che, appollaiato sulla colonna, conversava con il suo invisibile dio, ho trascorso nei bar lunghi momenti di sogno, o meglio di fantasticheria, parlando raramente con i camerieri e quasi sempre con me stesso, tutto preso da cortei di immagini che non finiranno mai di sorprendermi.

Voglio innanzitutto precisare che faccio una netta distinzione tra bar e caffè. A Parigi, per esempio, non sono mai riuscito a trovare un bar decente. In compenso è una città ricca di bellissimi caffè. Dovunque vai non ti verrà mai l’angoscia di non trovare un tavolo, un cameriere e qualcosa da bere. Si può forse immaginare Parigi senza i caffè, senza quei meravigliosi tavolini esterni, senza i bar tabacchi? Tanto varrebbe vederla distrutta da un’esplosione atomica.

Il caffè presuppone la discussione, l’andirivieni e l’amicizia, a volte rumorosa, delle donne.
Il bar invece è un esercizio di solitudine.
Deve innanzitutto essere tranquillo, piuttosto buio, molto comodo. Qualsiasi musica dev’essere severamente bandita. Una dozzina di tavoli con, se possibile, dei clienti abituali che parlino poco.

(Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Rizzoli 1983, pag. 43)

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Il caso è il grande arbitro del mondo. Padrone e signore di tutto. La necessità viene dopo. Non ha la stessa purezza.

Il soggetto ideale, cui ho pensato spesso, dovrebbe iniziare da un punto anodino, banale. Per esempio: un mendicante attraversa una via. Vede una mano che si sporge dalla portiera di un’auto di lusso e butta per terra un mezzo avana. Il mendicante si ferma di colpo per raccogliere il sigaro. Un’altra automobile lo urta e lo uccide.

Partendo da questo incidente, si possono porre una serie di domande infinite. Perché si sono incontrati, il sigaro e il mendicante? Cosa faceva il mendicante per strada e a quell’ora? Perché l’uomo che fumava il sigaro lo ha buttato via in quel momento? Ogni risposta potrà altre domande, sempre più numerose. Ci troveremo di fronte a bivi sempre più complessi, che condurranno ad altri bivi, a labirinti fantastici in cui si dovrà scegliere la direzione. Così, seguendo delle cause apparenti che in realtà sono soltanto una serie, una profusione illimitata di casi, potremmo risalire sempre più in là nel tempo, vertiginosamente, senza una sosta, attraverso la storia, attraverso tutte le civiltà, fino ai protozoi originali.

E’ anche possibile considerare la sequenza in senso inverso, naturalmente, e vedere che il fatto di buttare un sigaro dalla portiera di un’automobile, causando la morte di un mendicante, può modificare radicalmente il corso della storia e portare alla fine del mondo.

(Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Rizzoli 1983, pag. 169)

Panettoni topicidi e agricoltura transgenica

Dibattito.
Partecipa il tipico teatrino umanoide–televisivo fine-anni-novanta composto da:
1) Il rappresentante dell’azienda, il cui unico scopo è di rappresentare gli interessi dell’azienda.
2) Il rappresentante della politica di governo, il cui unico scopo è di sostenere l’operato della politica di governo.
3) Il rappresentante dei lavoratori dell’azienda, il cui unico scopo è di rappresentare gli interessi dei lavoratori dell’azienda: è lui, è il sindacalista. Egli segue una sola regola che consiste nel difendere le posizioni del sindacato e dei suoi iscritti, a qualunque costo e a prescindere. Anche se l’azienda come in questo caso produce sostanze tossiche, o magari armi nucleari o chissà cos'altro, dovesse anche arrivare il giorno in cui risulti evidente perfino a lui che a causa di quelle sostanze o di quelle armi la vita sulla terra è in grave pericolo, il sindacalista non desisterà dal proprio scopo. Egli è, insieme a quei lavoratori disposti a tutto tranne che a immaginare un altro lavoro, il vero grande alleato del proprietario dell’azienda: tutti cercano di ottenere, ciascuno al proprio livello, vantaggi e privilegi e non possono fare a meno gli uni degli altri.
4) Lo scienziato–biologo di destra. Costui rappresenta quel ramo della scienza che utilizza i finanziamenti per la ricerca devoluti dalle aziende allo scopo di trovare nuovi sistemi per aumentare al massimo i profitti riducendo al minimo i costi. Egli considera lo scienziato–biologo di sinistra sostanzialmente un pirla e ne sottostima il pensiero. Difende senza ammettere discussioni il proprio operato dichiarandosi costretto a rimediare ai danni procurati dagli errori del passato, in realtà provocando con la sua mancanza di scrupoli guai peggiori che saranno a loro volta riparati da futuri danni ancora più gravi e così via, ad libitum.
5) Lo scienziato–biologo di sinistra. Questa categoria di persone, pur animata da buoni propositi, è fondamentalmente incapace di organizzarsi e si frammenta in migliaia di collettivi e associazioni disperdendone le potenzialità. Il nostro uomo porta negli occhi la coscienza della propria debolezza, numerica e politica, ed è destinato alla sconfitta. Egli considera lo scienziato–biologo di destra per quello che è, uno stronzo, ma ne subisce l’arroganza e il potere. Ha generalmente modi cortesi e partecipa alla discussione nella speranza di scuotere gli ascoltatori ravvivandone il senso civico, di suscitare simpatia e di aumentare i consensi.
6) Lo studioso professore universitario non schierato ideologicamente. Sa spiegare con semplicità il proprio punto di vista, è creativo, ha cultura, competenza e si sforza di esporre le proprie conoscenze in modo chiaro, efficace ed esaustivo. È quindi l’elemento a cui viene data con meno frequenza la parola, ridotto a sorta di polveroso soprammobile, i suoi interventi si rivelano sommessi e precisi per cui ininfluenti, confermando così la propria inutilità sociale.
7) Il gruppuscolo oltranzista integralista politicizzato. In questa occasione composto prevalentemente da donne attempate, medio-alto borghesi, cittadine, interpreti fuori tempo di un femminismo frainteso da loro stesse, che si professano animaliste poiché mangiano insalata per non ingrassare e tengono in soggiorno qualche obeso e sfigato gatto castrato. Sprovviste di sensibilità, scarse di cultura e intelligenza in quanto ferocemente presuntuose, si discreditano con il loro atteggiamento ideologizzato arrogante, disprezzando tutti.
8) Il rappresentante del mondo missionario e cattolico. Egli, lo dice la parola, è un’anima pia ed è qui in missione per conto di Dio, e di chi sennò, presenziando al dibattito per ricordare all’intero mondo occidentale che mentre noi ci trastulliamo chiacchierando di inutili vuote faccende intellettuali, circa un terzo della popolazione della terra non ha di che procurarsi il cibo. Il che è drammaticamente vero, e questo lo pone al riparo da qualsiasi contestazione. Nessuno gli obietterà il contrario e lui, dietro a una facciata di moderata compassione, fedele alle tradizioni della sua Chiesa, ci rammenterà implacabile i nostri peccati e fingerà di assolverci in realtà condannandoci a patire un perpetuo senso di colpa per essere nati dove siamo nati.

(MF, inedito, Milano 16 dicembre 1998 - rev. 2010)

9 ottobre 2010

JL


9 October 1940 - 9 October 2010

1 giugno 2010

Il solito ignoto


Vorrei chiedere alla persona che alla fine del concerto dell'SDS Ensemble presso il Teatro Arsenale di Milano la sera del 31 maggio 2010 si è simpaticamente messa in tasca tre miei CD senza preoccuparsi di pagarli, di farmi almeno gentilmente sapere se li ha apprezzati. Un'informazione che contribuirebbe ad alleviare un certo senso di fastidio.
I CD, tre diversi titoli, erano appoggiati sul banco all'ingresso del teatro e non credo possano essere scambiati facilmente per locandine teatrali o biglietti da visita, e se è vero che ormai i CD e in particolare quelli diciamo così di musiche di ricerca si pubblicano più che altro per documentazione e per essere dati in omaggio o in promozione visto che sono pochissimi coloro che ritengono opportuno acquistarli, in ogni caso preferirei essere io a decidere a chi li voglio regalare.

22 maggio 2010

Il Trittico


il mio cuore vola alto come un falco

9 marzo 2010

Gaber e i cloni di Hollywood


Se giro la testa verso destra e guardo fra gli scaffali dove ho disposto i cd e i dvd, mi appare la costa di una copertina con una scritta spessa e ben visibile, bianca su sfondo nero. Si tratta di un cofanetto, libro + dvd con le canzoni e i monologhi di Giorgio Gaber, riprese video effettuate in teatro nel 1991. Quello che adesso è memorizzato in formato digitale, e che se voglio vedere e ascoltare devo immaginare in sequenze di bit incisi su disco, una volta andavo a viverlo in teatro in spettacoli come “Far finta di esser sani” e “Anche per oggi non si vola”, i classici insomma.
Il luogo era il Teatro Lirico, teatro storico di Milano, inaugurato nel 1779, un solo anno dopo la Scala, ricostruito nel 1940 e divenuto poi di proprietà del Comune.
Ho visto un po’ di cose al Teatro Lirico. Oltre a Gaber, gli spettacoli di Giorgio Strehler su Bertolt Brecht e Anton Čechov, festival jazz con personaggi del calibro di Steve Lacy e Anthony Braxton. Roba forte, che ha lasciato il segno in più di una generazione.
Chi allora si lamentava non sapeva cosa l’avrebbe aspettato.

Nel 1998 il teatro viene chiuso. Da allora, un lugubre cancello color grigio topo a sbarrare l’ingresso, vecchi cartelloni scoloriti.
Passa il tempo. Maggio 2005, dal Corriere della Sera: “Via al restauro del Lirico con Longoni e Dell'Utri. Firmata la convenzione. Dopo anni di polemiche, ricorsi e lungaggini si sblocca la pratica per la ristrutturazione e la rinascita del Teatro Lirico. La convenzione è stata sottoscritta venerdì scorso a palazzo Marino. Confermata anche la presenza di Marcello Dell'Utri nell'operazione: il senatore di Forza Italia sarà uno dei collaboratori artistici della nuova gestione.”
Aprile 2007, presentazione dell'Assessore alla Cultura Vittorio Sgarbi: "Rinasce a Milano il Teatro Lirico, chiuso dal '98. I lavori cominceranno a breve, e in due anni - costo: 20 milioni di euro - ridaranno alla città un impianto avveniristico e polifunzionale. Oltre a un palco adatto a ogni tipo di performance - musica, prosa, lirica - ci saranno: un salotto, un ristorante con cupola di vetro e vista sul centro cittadino, una biblioteca digitale, un bar aperto dalle 9 del mattino che punta a portare gli studenti della Statale, distante pochi metri, a far colazione in un ambiente particolare.” (da Milano 2.0)
Prima domanda: nel frattempo qualcuno ha portato da mangiare ai gatti?
Novembre 2009: "Arriva l’ultimatum sul Lirico. Giovedi' prossimo Massimiliano Finazzer Flory, assessore alla Cultura di Palazzo Marino, incontrerà Gianmario Longoni, l’imprenditore delle Officine Smeraldo, a capo della Ati, la cordata con cui nel 2004 è stato firmato il contratto di concessione per lo svolgimento dei lavori. Il motivo della riunione? I cantieri ancora aperti e le lentezze nel portare a termine il lavoro di restauro. La cordata di imprese rischia la rescissione dal contratto.” (da InMilano.com)
Questa la situazione.

Ma se si entra nel sito web del teatro, si disvela ai nostri occhi un mondo meraviglioso: in doppia lingua (però se si clicca su “enter” appare solo una scritta che dice “english coming soon”), eleganti animazioni flash, musica classica di sottofondo, grafica accurata, colori sfavillanti.
Sì perché non dimentichiamoci che Milano è pur sempre la capitale del design e della moda, e quando all’artista svedese Claes Oldenburg viene chiesto di pensare a un'opera per la città, lui propone "Ago e filo" e non "Libro". Ci sarà pure una ragione. Milano è diventata una città di sarti, piazzisti e veline. Saremo anche stronzi, ma siamo vestiti bene (tranne i musicisti creativi, loro proprio non ci riescono, lo dice anche mia moglie).

Torniamo a teatroliricomilano.it: annunci di grandi programmazioni future, rivelazioni di mirabolanti “progetti”. Come siamo fortunati noi che viviamo a Milano, la città dove si progetta la BEIC, Biblioteca Europea di Informazione e Cultura, sulla carta davvero bellissima (ma dopo nove anni si attende ancora il via ai lavori, ultimamente si è saputo che potrebbe forse esserci una svolta, sarà vero o l’ennesima oscena bugia?), si demoliscono i vecchi fabbricati, si scava, poi ci si stufa e si lascia lì. E così ci ritroviamo, dove una volta sorgeva la stazione di Porta Vittoria, di fronte ai giardini della Palazzina Liberty, con un enorme cratere, boschi di erbacce alte due metri, laghetti di fango putrescente, per la gioia dei bambini e delle colonie festanti di pantegane.
Attendiamo con fiducia le prime mutazioni genetiche.

Campeggia nella home page: "Teatro Lirico. Un centro internazionale per la musica e lo spettacolo", veniamo informati che "si partirà con una prima stagione che ospiterà scelte artistiche selezionate fra le migliori produzioni nazionali”.
Come negli spot del Mulino Bianco, in cui ci rassicurano che le singole spighe vengono accuratamente scelte e selezionate per noi da personale esperto, colte a mano una a una per la nostra felicità.
E noi cosa vogliamo di più, ora che sappiamo che il teatro diventerà "uno dei luoghi più suggestivi di Milano". Tanto per cominciare forse qualche indicazione su quali siano i criteri di selezione che la direzione artistica intenderebbe adottare... ma di questo parleremo a tempo debito.

Diventerà, ci sarà, si farà. Di sicuro Milano è una città che guarda al futuro.
"CI SIAMO MESSI ALL'OPERA PER CREARE CULTURA".
Infatti, eccola la cultura a Milano: carta patinata, grandi promesse e proclami.
Fatti: around zero. E per le piccole realtà: below zero.
Sei un’associazione culturale senza scopo di lucro, un artista e/o persona attiva in ambito culturale? Vorresti organizzare qualcosa e cerchi aiuto e/o sostegno da parte delle istituzioni? Aspetta e spera.

A furia di tenere la testa girata verso destra mi fa male il collo. La raddrizzo. Alzo lo sguardo e vedo appeso al muro il calendario 2010, aperto al mese di Marzo.
C’è una foto di Clark Gable con Carole Lombard, posa classica in bianco e nero, fine anni ’30. Lui potrebbe essere il nonno di George Clooney oppure un fotomontaggio tanto gli somiglia.
Ho sempre pensato che uno dei divertimenti di Hollywood sia quello di produrre cloni, accomunati non necessariamente da somiglianza fisica. Con risultati non sempre soddisfacenti. Secondo me, ad esempio, oltre a Gable / Clooney (che assocerei anche a Cary Grant) possiamo mettere James Stewart con Tom Hanks, Gary Cooper con Kevin Costner (e la variante minore Dennis Quaid), Dustin Hoffman con Tom Cruise, Sidney Poitier con Denzel Washington.
Ogni volta che penso a George Clooney, se riesco a dimenticare di chiedermi cosa dev’essere diventato per mettersi con una come la Canalis, lo vedo nella parte di Everett Ulysses McGill in “Fratello dove sei?” dei fratelli Coen.
Ricordo benissimo che questo film, per me al top della produzione dei Coen insieme al “Grande Lebowski”, veniva invece considerato da una parte della critica, all’epoca della sua uscita nel 2000, un film minore, divertente sì ma non all’altezza dei precedenti.
Oggi vedo dappertutto cinque stelle e affermazioni tipo: “Un capolavoro metaforico, divertente e citazionista.”

Eh, la critica. Vogliamo parlarne? Magari di quella certa parte e che scrive di musica in Italia? No, lasciamo perdere per carità, ci sarebbe da scrivere un libro, ma di quelli sopra le mille pagine, come neanche Stephen King quando gli scappa la penna.
Però un accenno si può anche fare.
Riporto la recensione pressoché integrale del concerto del trio di musica improvvisata “Re:start” all’Ah-Um Jazz Festival nell’ottobre 2007 e apparsa sulla rivista Musica Jazz, mica sulla pagina concerti di un giornalino scolastico (mi è sconosciuto il nome del recensore, ma prima o poi lo scopro): “Qualche momento discreto sembrava occorrere per caso in un progetto di cui non si capiva il senso.” Fine.

Mi è stato detto che tempo dopo l’autore della “recensione” si è giustificato dicendo che lui di un certo tipo di musica non capisce niente.
Bene.
Due domande allora: uno, esperti di quale tipo di musica vengono mandati in giro ad ascoltare e recensire i festival jazz in Italia? Due: a scuola ancora oggi insegnano che quando non si capisce qualcosa non bisogna aver paura di chiedere. Forse qualcuno è venuto a farci qualche domanda, dietro al palco, a fine concerto?

2 febbraio 2010

Gli apostrofi danzanti (ovvero: a ciascuno il suo perché - parte 1)


Perché dobbiamo essere sempre noi a spiegare il perché? Il perché di quel che facciamo o perché suoniamo quel che suoniamo?
Tanto per cominciare: perché no? Quand’è che si capirà che non c’è niente da capire?
Ci dicano loro, casomai, una volta per tutte, finalmente, che musica ascoltano? Perché?
Perché guardano ancora la televisione, MTV compresa? E perché, com’è possibile che ci sia perfino chi segue (omioddio) il festival di Sanremo?
Ma sarà poi vero? Temo di sì.
E perché poi vanno ai concerti di Renato Zero, santo cielo? So anche per certo che qualcuno di loro va a sentire roba come i Tokyo Hotel. Tom Jones! Mi chiedo: perché?
E fermiamoci qui. Non parliamo neanche del perché si divertono con zelig-grandefratello-amicidimariadefilippi-xfactor-serenadandini. Non lo voglio sapere.
Mi domando però: lo sanno quello che fanno? Certo, non fanno niente di male, ma li cercano i loro perché? E se no, perché non ci provano?
E poi, alla fine, chi diavolo sono “loro”?

Quando ho inviato queste belle riflessioni via mail mi sono accorto che dal testo erano spariti gli apostrofi. Dov’erano andati? Perché succedono queste cose?
Così li ho rimessi e ho rispedito: gli apostrofi non solo sono tornati, si sono raddoppiati. Ma perché mai?
Guarda che è una bella storia.
A questo punto voi vi chiederete: ma perché questo tipo continua a parlare di apostrofi e di un sacco di perché di cui non ce ne importa niente?
C'è una sola risposta a questo perché.
Ma non so qual è.

Andiamo avanti.
Film: “La sera della prima” di John Cassavetes. Due personaggi sulla scena di uno spettacolo teatrale, l’uomo dice alla donna: “Tu sei la mia ispiratrice, prima di incontrarti io ero un fallito, un ubriacone; ero una specie di Falstaff senza pancia e senza spirito, ero un Dean Martin senza fascino. Ero una frana. Per me chi parlava poco era un ignorante, chi parlava troppo un presuntuoso; la musica era solo rumore e l’arte una presa per il culo.”
Spegniamo il computer e usciamo di casa. Due passi verso il centro. Teniamo la testa alta e osserviamo le persone che incrociamo. Saliamo su un autobus e ascoltiamo i discorsi, le telefonate all’aria aperta coi cellulari, sbirciamo cosa leggono. Nessuno di loro è un fallito o un ubriacone, sono brave persone, tranquille, oneste, di tutte le età. Studenti, impiegati, dirigenti, badanti: però la metà di loro se non di più, sotto sotto, ci scommetto quello che volete, considera la musica e l’arte come Cassavetes nel suo film, prima che incontrasse Gena Rowlands. Un fastidio o una noia.
La musica in particolare. A meno che non sia legata a qualche bel ricordo, alle vacanze, all’adolescenza e ai primi sbaciucchiamenti e soprattutto che sia cantabile, di facile ascolto, leggera.
Le pop star riempiono gli stadi e i ragazzini agitano gli accendini ai loro concerti perché fanno canzoni semplici, disimpegnate, anche energiche ma immediate, orecchiabili, lo sappiamo bene ed è tutto chiaro anche per loro (le pop star, non i ragazzini) o almeno dovrebbe esserlo, nel dubbio non hanno che da controllare i loro estratti conto.
E’ ovvio che perché tutto questo funzioni bisogna che il livello complessivo, da una parte e dall’altra del palco, sia tenuto il più basso possibile e frenare ogni tentativo di crescita. Ci stanno riuscendo benissimo. Faccio fatica a immaginare qualcosa sotto al livello in cui siamo.
Ma certi animali riescono a sopravvivere anche nelle condizioni più estreme. Piccoli uomini crescono, o almeno ci si può provare.
Io ho raccoglitori pieni di 45 giri dell’Equipe 84 e dei Beatles, perfino di Lucio Battisti e mi piacciono oggi come ieri. Interi scaffali con LP di tutti i generi. Quand’ero piccolo il mio papà mica mi faceva sentire i dischi di Cecil Taylor o di Morton Feldman.
Adoro Paperino e i “Blues Brothers”, ma non per questo trovo noioso "2001: Odissea nello spazio".
D'altronde, alcuni miei carissimi amici non hanno la più pallida idea di che cosa sia il jazz o la musica contemporanea e sono felici così e io gli voglio un gran bene. E so che quello che non farò mai è cercare di convincerli di qualcosa.
Conosco insegnanti, medici, intellettuali, scrittori, architetti, e poi attori, registi, persone colte, impegnate, attive nel campo delle lettere, delle arti e delle tecnologie, che alla musica chiedono principalmente relax e intrattenimento.
Qui il livello non è certo basso. E allora, ancora una volta: perché? E’ una bella storia anche questa.
Possiamo provare a cercare delle risposte, ma non ora, discorso troppo lungo.

Poi può capitare che un bel giorno, quando meno te lo aspetti succede qualcosa.
Scatta la famosa molla.
Ma devi essere predisposto in qualche modo. Che so, qualche fattore genetico o un mutamento delle difese naturali. Così come si fa con certi virus.
Perché nessuna spiegazione di nessun perché può far cambiare idea a quello che se ne esce da un concerto di Ornette Coleman o dell'Art Ensemble of Chicago senza aver provato emozioni e tutto quello che riesce a dire è "che palle".
Ricordo di un amico, compagno di università, seduto accanto a me a farsi una colossale dormita durante un concerto dell’Alexander Von Schlippenbach Quartet, nel mese di giugno del 1977, al Teatro Lirico di Milano.
Fu il mio primo vero concerto di musica radicale improvvisata - un’esperienza dura, ammettiamolo, per il mio ancor giovane unico orecchio - ma in qualche modo contribuì a farmi diventare quello che sono diventato. (Me lo chiedo io prima che lo facciate voi: perché non sono rimasto a casa, quella dannata sera?)
Comunque, il mio vicino di posto si è poi svegliato, ha ripreso gli studi e ha continuato a suonare i pezzi dei Crosby, Stills, Nash & Young alla chitarra.
Io no.
Siamo rimasti lo stesso in buoni rapporti.
In conclusione, ad amici e conoscenti, alle persone colte di cui sopra, a “loro” direi: guardate che mica vi ammalate se venite ad ascoltare un mio concerto, ogni tanto. Non c’è da studiare niente prima, costa poco e, male che vada, una bella tisana calda e passa subito tutto.
A proposito di “loro”: qualcuno mi sa dire per caso dov’è finito il pubblico che fermentava nella Milano degli anni ’70, della musica sperimentale e popolare, degli Area e del free jazz, quella folla che riempiva fino all’inverosimile i festival di Re Nudo al Parco Lambro (oltre 200.000 persone nel 1976) e sfondava ai concerti di Anthony Braxton? E i loro figli?
Chi avesse delle informazioni a riguardo può rispondere compilando gentilmente il modulo qua sotto.
Grazie.