29 ottobre 2010

TESTI HIP E HOP


La saggezza della mia lezione sta tutta nella verità, nella libertà, nella sostanza; disdegnando di assumere nel numero dei suoi veri doveri queste piccole regole fittizie, usuali, provinciali. Saggezza tutta naturale, costante, universale, di cui sono figlie, ma bastarde, l’urbanità, le convenienze. Ci libereremo dei difetti dell’apparenza, quando ci saremo liberati da quelli della sostanza.
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La nostra vita è parte nella follia, parte nella saggezza. Chi ne scrive solo con rispetto e moderazione, ne lascia indietro più della metà. Non mi scuso davanti a me stesso. E se lo facessi, mi scuserei delle mie scuse piuttosto che di qualsiasi altra cosa. Mi scuso presso persone d’una certa opinione, che ritengo più numerose di quelle che sono dalla mia parte.
(...)
A me piace la modestia. E non è per ragionamento che ho scelto questo modo di parlare scandaloso. E’ la natura che l’ha scelto per me. Io non l’approvo, non più di qualsiasi forma contraria all’usanza stabilita. Ma lo giustifico e ne mitigo la condanna per considerazioni particolari e generali.

(Montaigne, Saggi, Libro III - Capitolo V, pagg. 1181-1183)

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Bisogna imparare a sopportare quello che non si può evitare. La nostra vita è composta, come l’armonia del mondo, di cose contrarie, e anche di toni diversi, dolci e aspri, acuti e bassi, molli e gravi. Il musicista che amasse solo i primi, che cosa vorrebbe dire? Bisogna che sappia servirsene nel complesso e mescolarli. E così noi, i beni e i mali, che sono consustanziali alla nostra vita. Il nostro essere non può sussistere senza questa mescolanza, e una parte non vi è meno necessaria dell’altra.
(...)
Ora, io tratto la mia immaginazione più dolcemente che posso, e la libererei, se potessi, da ogni pena e contrarietà. Bisogna soccorrerla e lusingarla, e ingannarla se si può. Il mio spirito è adatto a questo scopo. Non gli mancano argomenti plausibili in ogni caso. Se sapesse persuadere come sa predicare, mi darebbe un grande aiuto.

(Montaigne, Saggi, Libro III - Capitolo XIII, pagg. 1459-1460)

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Solo, davanti al mio martini dry, dubito fortemente dei vantaggi del denaro e della cultura.

Ho trascorso ore deliziose nei bar. Il bar è per me un luogo di meditazione e raccoglimento, senza il quale la vita è inconcepibile.
Come san Simone stilita che, appollaiato sulla colonna, conversava con il suo invisibile dio, ho trascorso nei bar lunghi momenti di sogno, o meglio di fantasticheria, parlando raramente con i camerieri e quasi sempre con me stesso, tutto preso da cortei di immagini che non finiranno mai di sorprendermi.

Voglio innanzitutto precisare che faccio una netta distinzione tra bar e caffè. A Parigi, per esempio, non sono mai riuscito a trovare un bar decente. In compenso è una città ricca di bellissimi caffè. Dovunque vai non ti verrà mai l’angoscia di non trovare un tavolo, un cameriere e qualcosa da bere. Si può forse immaginare Parigi senza i caffè, senza quei meravigliosi tavolini esterni, senza i bar tabacchi? Tanto varrebbe vederla distrutta da un’esplosione atomica.

Il caffè presuppone la discussione, l’andirivieni e l’amicizia, a volte rumorosa, delle donne.
Il bar invece è un esercizio di solitudine.
Deve innanzitutto essere tranquillo, piuttosto buio, molto comodo. Qualsiasi musica dev’essere severamente bandita. Una dozzina di tavoli con, se possibile, dei clienti abituali che parlino poco.

(Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Rizzoli 1983, pag. 43)

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Il caso è il grande arbitro del mondo. Padrone e signore di tutto. La necessità viene dopo. Non ha la stessa purezza.

Il soggetto ideale, cui ho pensato spesso, dovrebbe iniziare da un punto anodino, banale. Per esempio: un mendicante attraversa una via. Vede una mano che si sporge dalla portiera di un’auto di lusso e butta per terra un mezzo avana. Il mendicante si ferma di colpo per raccogliere il sigaro. Un’altra automobile lo urta e lo uccide.

Partendo da questo incidente, si possono porre una serie di domande infinite. Perché si sono incontrati, il sigaro e il mendicante? Cosa faceva il mendicante per strada e a quell’ora? Perché l’uomo che fumava il sigaro lo ha buttato via in quel momento? Ogni risposta potrà altre domande, sempre più numerose. Ci troveremo di fronte a bivi sempre più complessi, che condurranno ad altri bivi, a labirinti fantastici in cui si dovrà scegliere la direzione. Così, seguendo delle cause apparenti che in realtà sono soltanto una serie, una profusione illimitata di casi, potremmo risalire sempre più in là nel tempo, vertiginosamente, senza una sosta, attraverso la storia, attraverso tutte le civiltà, fino ai protozoi originali.

E’ anche possibile considerare la sequenza in senso inverso, naturalmente, e vedere che il fatto di buttare un sigaro dalla portiera di un’automobile, causando la morte di un mendicante, può modificare radicalmente il corso della storia e portare alla fine del mondo.

(Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Rizzoli 1983, pag. 169)

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